Lo scultore Gianni Verdiglione diffidato da uno studio legale di per diffamazione aggravata 24/10/2025 E’ di oggi la notizia che lo scultore Gianni Verdiglione (in foto) è stato diffidato dagli avvocati dei baroni Gallelli di Badolato, per diffamazione aggravata dal mezzo stampa (così come egli stesso rende noto sui suoi due profili Facebook). La vicenda nasce in seguito ad alcuni scritti, diffusi sui social dallo stesso Giovanni Verdiglione, di carattere politico e storico sociale, in cui l’autore ha richiamato il tema delle lotte contadine e delle contrapposizioni sociali del secolo scorso, interpretandole come simbolo di conflitto tra classi, e dando infine una versione distorta dei finanziamenti comunitari in agricoltura (CEE) iniziati a partire dagli dagli anni ’60 del 900, con la nascita della Politica Agricola Comune (PAC); diffamando infine i baroni di Badolato e i loro defunti, attraverso racconti falsi e tendenziosi, destituiti di qualsiasi elemento probatorio, al solo fine di ledere il decoro e l'onorabilità della casata e del loro latifondo in produzione dal 1589, pubblicata in tutti i libri araldico -nobiliari in commercio, tra cui: il famoso Annuario della Nobiltà Italiana (edizioni 2006-2011-2014 e attuale 2020 a pagina 2277-78-79-80), di cui il sito www.annuariodellanobilta.com pubblicati inoltre nel noto Libro d’Oro della Nobiltà Italiana (edizioni 2015- 2020 e nell’attuale edizione 2024 a pagina 1065-66) di cui il sito www.collegioaraldicoromano.it nonché infine nel prestigiosissimo Calendario di Gotha edizione 2022 pagina 573 di cui il sito www.calendariogotha.it. Secondo quanto si apprende dal Verdiglione, il barone Ettore Gallelli Benso de Salazar di Badolato (meglio noto come Ettore Gallelli di Badolato) ha incaricato i propri legali, al fine di tutelare l’immagine e il buon nome della famiglia, i quali hanno infatti chiesto al Gianni Verdiglione la rimozione sui social di tutti i contenuti ritenuti falsi e diffamatori. Al momento non risultano ulteriori sviluppi ufficiali, ma la questione ha suscitato interesse nell’opinione pubblica locale, soprattutto per il risvolto legato all’uso distorto dei social media, e alla tutela della reputazione online. Nato a Badolato il 14 ottobre 1956 e ivi residente, dopo il diploma al liceo artistico di Catanzaro, Giovanni Verdiglione ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Definito “poeta e scultore”, ed è attivo nel suo territorio con opere artistico‐memoriali. Da quello che si apprende, il reato contestatogli è particolarmente grave, dato che è stato diffidato per diffamazione aggravata dal mezzo stampa, in quanto commessa on-line, la quale cosa è perseguibile penalmente e può dar luogo a richieste di risarcimento danni patrimoniali e morali (Art. 595 c.p., comma n. 1 il quale recita; chiunque, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione è punito con la reclusione fino a 1 anno o con la multa fino a 1.032 euro. La pena può salire fino a 3 anni di reclusione o multa fino a 2.065 euro se la diffamazione è posta in essere tramite stampa). Inoltre in questo specifico caso si potrebbe ravvisare anche il villipendio dei defunti (Art. 410 il art. 410 c.p.) che è il reato che punisce chiunque commette atti di vilipendio sopra un cadavere, le sue ceneri, o in questo caso le sue memorie. Gianni Verdiglione ha inoltre legato alcuni di questi racconti storici inverosimili (ovvero non suffragati da elementi probatori) a una delle sue opere più note, le cosiddette “pietre parlanti”. Si tratta di pietre o lastre in marmo, applicate sulle pareti di case, rioni e vicoli di Badolato. Queste pietre narrano (sempre secondo le opinioni ideologiche del Verdiglione) la storia, le memorie, i cognomi delle famiglie, i protagonisti della vita del borgo nel tempo.
La sua opera, intrisa di simbolismo e di richiami alla tradizione contadina e mediterranea, lo aveva reso protagonista di numerosi dibattiti culturali, mentre invece oggi il suo nome è accostato a questa brutta vicenda legale.
Resta ora da vedere se i baroni di Badolato lo trascineranno in tribunale, citando come testimoni anche tutti i contatti social del Gianni Verdiglione, che sul suo profilo Facebook hanno commentato questa vicenda, oppure se il Verdiglione ottempererà alla diffida. Il motivo per cui i baroni Gallelli di Badolato non tollereranno mai affronti del genere, va compreso in termini di codice d’onore, nobiliare e sociale. Infatti per gli aristocratici, l’onore non riguarda solo l’individuo, ma l’intera famiglia e la loro storia. Un insulto alla famiglia è tutt’oggi visto come un attacco alla linea genealogica, al prestigio e al ruolo sociale del casato. Tollerare un offesa scritta, significherebbe accettare che la famiglia sia considerata indegna o disonorevole. Nell’aristocrazia, la reputazione era, ed è tutt’oggi essenziale, dato che permette di mantenere rispetto, e quindi l’influenza sociale. Se il barone avesse ignorato l’offesa, la società avrebbe potuto interpretarlo come debolezza o codardia. Non reagire vorrebbe dire violare la tradizione stessa della nobiltà, minando il prestigio stesso della famiglia. Reagire all’offesa serve anche come monito futuro, e come insegnamento morale ai figli o ai membri più giovani della famiglia, mostrando che l’onore va difeso e che le regole sociali vanno rispettate. I nobili erano, e sono tutt’oggi vincolati da codici sociali non scritti, che impongono di difendere l’onore con decisione, spesso attraverso lettere, mediazione o, storicamente, duelli. Uno degli ultimi duelli ufficiali avvenuti in Italia, coinvolse nel 1971 il duca Amedeo di Savoia-Aosta (1943–2021), e il giornalista Mario Rocca, avvenuto in una località vicino Roma. Il giornalista Rocca aveva pubblicato un articolo ritenuto offensivo nei confronti della duchessa Claude d’Orléans, moglie di Amedeo. Il duca, richiamandosi al codice cavalleresco, sfidò il giornalista Rocca a duello per difendere l’onore della consorte (pur non essendo il giornalista un suo pari). Anticamente infatti i duelli potevano avere luogo solo tra persone di pari condizione sociale. Il duello fu combattuto con la spada, secondo il cerimoniale ancora riconosciuto in certi ambienti aristocratici, ma non causò feriti gravi. Dopo alcuni scambi, il duello venne interrotto dai padrini quando il giornalista Rocca riportò una lieve ferita al braccio, gesto sufficiente a considerare “lavato l’onore”. L’episodio ebbe eco nella stampa italiana e fu considerato l’ultimo duello cavalleresco formale in Italia. All’epoca, i duelli erano già vietati per legge (art. 394 e seguenti del Codice Penale), ma la vicenda venne trattata con discrezione, senza conseguenze giudiziarie rilevanti.
Questo duello del 1971 è spesso citato come l’ultimo vero duello d’onore svolto secondo il vecchio codice cavalleresco in Europa occidentale.
Da allora, nessun membro della nobiltà italiana ha più partecipato a un confronto simile. Quello di Gianni Verdiglione è un caso unico nel mondo della scultura europea, dato che secondo alcune fonti, il Gianni Verdiglione sarebbe il solo artista del settore, ad essere stato diffidato per diffamazione aggravata e villipendio dei defunti di una casata. Il caso getta un’ombra sulla sensibilità e umanità dell’artista Gianni Verdiglione, dato che è assai strano che chi si definisca poeta e scultore, trovi normale diffamare i defunti della famiglia feudale del luogo, falsando la verità di fatti storici, con racconti volutamente artificiosi e distorti nel loro contenuto, pubblicandoli infine sulla propria pagina Facebbok. Non siamo davanti alla libertà di opinione, dato che il Gianni Verdiglione NON ha espresso un’opinione personale, ma ha invece pubblicato sulle sue due pagine social una narrazione distorta e artificiosa di fatti storici, senza alcun elemento probatorio, quindi offensivi della reputazione e memoria del casato e di persone che non sono più in vita. Un comportamento vile, da parte di chi si dice scultore e poeta, dato che quando si offende la memoria di un defunto, l’attacco non colpisce solo il morto, ma anche i suoi familiari e i suoi cari. Questo è particolarmente grave tra la nobiltà, dove i legami familiari sono profondi e la memoria dei defunti è un valore centrale, rappresentando un patrimonio di ricordi, valori e tradizioni per la famiglia. In Italia, la legge tutela la memoria dei defunti attraverso il diritto all’onore e alla reputazione dei loro familiari. L’articolo 597 del Codice Penale prevede infatti che i parenti possano denunciare chi offende la memoria dei loro cari. Quindi oltre alla gravità etica e morale, c’è anche una responsabilità legale concreta: l’autore dell’offesa può essere perseguito civilmente e penalmente. È per questo motivo che la società, la legge, e la magistratura, considerano tale comportamento estremamente grave. A ben vedere, l’artista infatti dovrebbe essere creatore di mondi, tessitore di emozioni, narratore di bellezza, il suo compito dovrebbe essere quello di dare voce all’anima, catturare la verità e trasformarla in arte che arricchisce chi la osserva, e non certo rendersi protagonista di simili raccapriccianti azioni. L’artista per sua natura, non dovrebbe dividere, ma unire. Non dovrebbe distruggere, ma costruire. Non dovrebbe istigare all’odio sociale contro il barone, ma generare bellezza e consapevolezza, anche quando affronta temi dolorosi o scomodi. Ridurre l’arte a strumento di propaganda personale o politica, significa tradirne la vocazione artistica: quella di parlare all’animo umano con linguaggio universale, di creare ponti tra passato e presente, tra le classi, tra le idee, senza cedere alla tentazione della vendetta sociale o dell’insulto travestito da cultura. L’arte autentica non ha bisogno di nemici, non ha bisogno di accusare per esistere. Ha bisogno di verità, di profondità, di etica. E soprattutto, ha bisogno di rispetto per la storia, per la comunità e per le persone reali che ne fanno parte. Offendere i defunti della storica famiglia feudale del luogo, non è arte, ma una vigliacca aggressione camuffata da creatività. È il tentativo di distorcere la storia con gli strumenti della diffamazione, senza il rigore del pensiero critico né il coraggio della bellezza. In conclusione, se davvero si vuole restituire dignità all’arte locale, è necessario uscire dalla logica dello scontro sociale, e tornare alla ricerca del bello. Un bello che non è solo estetica, ma equilibrio, armonia, e capacità di parlare a tutti, e non contro qualcuno. Certamente un neo sul curriculum dello scultore locale Gianni Verdiglione (volutamente protagonista di questa brutta vicenda).
A cura di Mattia Ferri.
Fonte: comunicazione social di Gianni Verdiglione (in foto).